Esistono ragioni della universale conflittualità degli ebrei con le altre popolazioni del mondo e le altre religioni? La risposta è già implicita nella domanda, e segnatamente nell'aggettivo "universale". Dobbiamo chiederci infatti per quale ragione, ovunque siano entrati in contatto con altri popoli, gli ebrei abbiano sempre suscitato sentimenti di diffidenza, di avversione e di aperta ostilità. Gli apologeti giudei e i loro ausiliari attribuiscono questi sentimenti a ignoranza, pregiudizio, intolleranza etc. Qualcuno, scomodando la psicanalisi, ha definito l'antisemitismo (ma è più corretto parlare di antigiudaismo) nevrosi individuale e collettiva, psicosi di massa, malattia atavica, demonopatia, ed altre scemenze del genere. La verità è molto più semplice. Le cause reali dell'antigiudaismo sono state perfettamente individuate da uno scrittore ebreo, Bernard Lazare, autore di una storia dell'antisemitismo apparsa nel 1894 [http://vho.org/aaargh/fran/livres/lazare.pdf] e recentemente tradotta anche in italiano [L'antisemitismo - Storia e cause, Centro Librario Sodalitium, 2000]. Si chiede Lazare: perché di volta in volta gli ebrei furono fatti segno di una universale inimicizia da parte degli alessandrini e dei romani, dei persiani e degli arabi, dei turchi e delle nazioni cristiane? E ammette onestamente che, di fronte a una tale unanimità di atteggiamenti ostili, le cause dell'antigiudaismo non potevano che risiedere negli ebrei stessi, e precisamente nel loro esclusivismo etnico-religioso, nella loro asocialità e misantropia. Quando compaiono storicamente le prime manifestazioni di ostilità nei confronti degli ebrei e quando nasce una vera e propria "questione ebraica?" Il primo rapporto conflittuale tra ebrei e non-ebrei (in questo caso tra ebrei ed egizi) risale alla più remota antichità biblica ed è narrato all'inizio del libro della Genesi. Il patriarca Abramo scende in Egitto con la moglie Sara, ancora di bell'aspetto nonostante l'età. Nel timore di essere ucciso, la convince a spacciarsi per sua sorella e Sara diventa la concubina del Faraone. Abramo viene ben trattato in grazia di lei, "ricevendo greggi e armenti, asini, servi e serve, asine e cammelli". Allora interviene Jahvè, ma il Dio giudaico, invece di biasimare il lenocinio di Abramo, colpisce l'incolpevole Faraone con grandi piaghe. Questi, dopo aver rimproverato Abramo per aver mentito sulla moglie, lo caccia dal paese e il patriarca abbandona l'Egitto "molto ricco di bestiame, di argento e di oro". Un'altra manifestazione di ostilità nei confronti degli israeliti è descritta nel libro di Ester ed è ambientata nel V sec. a. C., all'epoca della dominazione persiana. Aman, visir di Assuero, sollecita dal monarca un editto contro i giudei. Nella lettera inviata ai satrapi e ai governatori il re accusa i giudei di misantropia e di attività sediziosa ed ordina che vengano giustiziati. Ma grazie alle macchinazioni di Ester, la moglie ebrea di Assuero, e di Mardocheo, tutore di Ester, divenuto primo ministro, Aman viene impiccato e i nemici dei giudei sterminati. Tuttavia una vera e propria questione ebraica nasce solo nell'età ellenistico-romana, quando già all'inizio della diaspora gli ebrei erano divenuti una temibile potenza internazionale. Fu proprio in questo periodo che da parte di numerosi scrittori greco-romani vennero formulate contro gli ebrei quelle accuse destinate a diventare un filo conduttore della polemica antigiudaica: esclusivismo etnico-religioso, asocialità, misantropia e perfino aspirazione al dominio mondiale. Per un approfondimento di tutte queste tematiche mi permetto di rinviare al mio libro "L'antigiudaismo dell'Antichità classica" (Ed. di Ar). Su quali testi della tradizione giudaica i polemisti antigiudei fondano le loro accuse? Gli autori classici ignoravano totalmente le fonti coeve della tradizione rabbinica; le loro accuse si fondavano su conoscenze più o meno occasionali, su esperienze personali o su informazioni provenienti dalla Palestina e dalle comunità ebraiche della diaspora. I principali testi della tradizione rabbinica sono oggi disponibili, soprattutto in inglese e in tedesco, e possono essere facilmente consultabili, ma per lungo tempo gli insegnamenti dei rabbini rimasero pressoché inaccessibili ai gentili. Dopo le prime edizioni a stampa e grazie all'opera di autorevoli ebraisti cristiani, fu possibile attingere direttamente alle fonti della tradizione rabbinica. Non a caso uno dei più profondi conoscitori delle tradizioni giudaiche, Johann A. Eisenmenger, intitolò la sua opera "Entdecktes Judenthum", cioè "Giudaismo svelato" [ed. it.: Ar, 2008]. E' proprio su queste fonti che i polemisti antigiudei fondano le loro accuse. Le fonti più autorevoli sono: la Torah (= legge, ma più propriamente insegnamento); il Midrash (= ricerca); il Talmud (= studio, dottrina); i codici, tra cui il Mishneh Torah (= Ripetizione della legge) di Maimonide, lo Shulhan Aruch (= Tavola imbandita) di Joseph Caro, il Kizzur Shulhan Aruch (= Compendio dello Shulhan Aruch) di Salomon Ganzfried; i responsi, cioè le soluzioni date dai rabbini ai problemi di utilità pratica che si ponevano alle comunità della diaspora. Un esame critico di tali fonti consente di individuare la vera natura dello spirito giudaico e le cause reali dell'antigiudaismo. La religione giudaica si basa su alcuni principi fondamentali: la rivelazione di Jahvè a Israele, l'elezione di Israele da parte di Jahvè, il patto fra Jahvè e Israele. Le conseguenze logiche e inevitabili di questi principi furono (e sono tuttora) un rigido esclusivismo etnico-religioso, un odio viscerale e implacabile contro tutti i "goyim" (i non-ebrei), considerati idolatri, impuri e malvagi, una esplicita volontà di dominio universale. Tutto ciò non è il frutto del "pregiudizio" o dell' "intolleranza", ma è comprovato dagli stessi testi della tradizione rabbinica e riconosciuto fra gli altri da ebrei onesti e coraggiosi come Spinoza, Lazare, Shahak. Sono numerose le citazioni dal Talmud e da altre fonti, da cui si apprende che il non-ebreo è assimilato a un animale; verso di lui si deve nutrire odio e disprezzo; è permesso ingannarlo, derubarlo e all'occorrenza perfino ucciderlo. Quando verrà il Messia giudaico, tutti i goyim idolatri saranno sterminati o asserviti a Israele, cui spetta per diritto divino il dominio sui popoli della terra. In un passo della Pesikta Rabbati, una raccolta di prediche scritta presumibilmente nel VI o VII sec., leggiamo che allora ogni israelita avrà nientemeno che 2.800 servi gentili. Come replicano gli ebrei a tali accuse? A partire dall'antichità classica il giudaismo ha mobilitato i suoi apologeti per replicare alle accuse degli autori greco-romani. Nel mio libro ho preso in esame la consistenza di queste apologie. Oggi gli apologeti giudei e i loro ausiliari hanno adottato una duplice strategia difensiva. Da un lato affermano che le citazioni in questione sono false; se si dimostra che sono autentiche, replicano che sono state "estrapolate dal contesto" e quindi ne è stato manipolato e falsificato il vero senso; se si dimostra che il senso è proprio quello, allora tagliano corto ammonendo gravemente che tutte queste polemiche antigiudaiche portano… ad Auschwitz! Dall'altro lato gli apologeti giudei e i loro ausiliari esibiscono altre citazioni, per dimostrare la grandezza e la nobiltà della morale giudaica. Ma in questo caso occorre richiamare l'adagio latino "medice, cura te ipsum" (medico, cura prima te stesso). Difatti questi apologeti ricorrono proprio a quelle manipolazioni e falsificazioni che attribuiscono ai loro avversari. Cito solo un paio di esempi significativi. In una nota esplicativa contenuta nel "Cantico dei Cantici" (Ed. Mamash) il pio esegeta giudeo scrive: «Il Talmùd Shabbat (89a) si domanda: perché il monte Sinày si chiama così? Perché fu in quel luogo che si manifestò nel mondo l'odio (in ebraico sinà) delle nazioni verso Israele». In realtà, il passo talmudico citato dice esattamente il contrario: il monte Sinai si chiama così perché è sceso l'odio contro i popoli del mondo. Sarebbero dunque gli ebrei ad odiare i popoli del mondo e non viceversa! Nel volume "I partiti religiosi ebrei nel tempo neotestamentario" (Ed. Paideia) Kurt Schubert cita la "regola aurea" del rabbino Hillel: «Ciò che non desideri per te, non fare al tuo prossimo» (Shabbat 31a). E precisa che dal contesto risulta che il concetto di "prossimo" comprendeva anche i non-ebrei: insomma, l'ebreo nutre sentimenti di filantropia verso tutti gli uomini. Ma dal contesto della citazione è inequivocabile che Hillel si riferisce ad un non-ebreo convertito al giudaismo e che quindi il "prossimo" è unicamente l'ebreo. La legge Mancino e gli ebrei: se sono vere queste accuse, anche gli ebrei possono essere legalmente perseguiti? Personalmente ritengo la legge Mancino un'aberrazione giuridica, poiché nessuno andrebbe perseguito per le sue idee. Ma paradossalmente questa legge dovrebbe perseguire per primi proprio gli ebrei. La legge infatti punisce ogni comportamento discriminatorio che comporti una distinzione, esclusione, preferenza basata sull'origine etnica e sulle convinzioni religiose. Ebbene, la religione giudaica è fondata proprio su questi principi discriminatori. Lo dimostra la normativa rabbinica, elaborata nei secoli e ai giorni nostri ancora valida; lo dimostra la liturgia, che trasuda odio contro i non-ebrei "idolatri". Un esempio? Ogni giorno il pio giudeo recita una "benedizione" (in realtà una maledizione) contro i "minim" (gli eretici, fra i quali i cristiani) ed invoca Jahvè affinché essi siano distrutti al più presto. Ma qui mi limito a riportare quanto scrive Elia S. Artom, autorevole figura dell'ebraismo italiano, autore del volume "La vita di Israele", prima edizione del 1937 e più volte ristampato. Nella prefazione alla terza edizione (1975) Menachem E. Artom, figlio dell'autore, precisa che l'opera è ancora vitale ed è destinata ad indirizzare nella pratica della vita ebraica. Da questo libro apprendiamo tra l'altro che Israele è nazione consacrata, in quanto è collocata ad un grado più elevato delle altre genti; che gli ebrei, sacerdoti dell'umanità, debbono sempre costituire un'eletta minoranza in mezzo agli altri popoli; che il matrimonio con un non-ebreo è illegittimo; che nelle benedizioni quotidiane si deve ringraziare Jahvè per ciò che ha dato in più e di diverso che ad altri uomini, cioè per la qualità di ebrei. Alla fine del sabato, con la quarta benedizione, si ringrazia Jahvè per aver distinto il sacro dal profano, la luce dalle tenebre, Israele dalle altre genti. Israel Shahak ha scritto che la legge ebraica è esplicitamente una legge inumana, ma, a quanto pare, nessun magistrato, così solerte nel perseguire i reati di antigiudaismo, si è dato la pena di spedire qualche ebreo davanti ad un tribunale per rispondere del reato di odio etnico-religioso nei confronti dei non-ebrei. La Corte costituzionale spagnola ha stabilito che la "negazione dell' Olocausto" non potrà esser punita con il carcere perché rientra nel diritto alla libertà di parola. Un passo avanti sulla libertà di ricerca storica? Credo che questo possa essere considerato un precedente giuridico importante, ma che debba essere esteso alla libertà di critica del giudaismo come alla critica di ogni altra fede religiosa. La repressione poliziesca non è solo un grave attentato alla libertà di critica e di ricerca, la cui sede naturale non è il tribunale, ma il confronto dialettico e il dibattito storiografico, ma ha anche una precisa valenza politica, in quanto mira a reprimere ogni voce dissonante e anticonformista. Come vedi le polemiche nella comunità ebraica sulla questione dell' "omicidio rituale", descritta da Ariel Toaff nel suo libro "Pasque di sangue"? Bisogna dare atto al prof. Ariel Toaff che, ricordiamolo, è il figlio del rabbino Elio Toaff, di un coraggio inusitato per aver tirato fuori dall'armadio qualche scheletro e averlo esibito agli occhi dei gentili. Non gli è stato perdonato dai suoi correligionari. Ma qui non intendo entrare nel merito delle polemiche seguite all'uscita (e all'autosequestro editoriale) del libro di Toaff. Si tratta di un'arma spuntata, in quanto le uniche prove sono costituite dagli atti giudiziari e si potrà sempre sostenere che le confessioni degli imputati furono estorte con la tortura o con altri mezzi coercitivi. Lo stesso lavoro di Toaff, che pure semina molti sospetti sulla veridicità di queste presunte pratiche omicide, è lungi dal fornire prove definitive. Ma c'è anche da ricordare che dal Talmud, dal Midrash e da altri testi della tradizione rabbinica apprendiamo che l'assassinio del non-ebreo è non solo permesso, ma anche prescritto, e che questo omicidio può assumere i connotati di un vero e proprio sacrificio rituale offerto a Jahvè. E' un argomento che meriterebbe di essere approfondito, a partire dal concetto di "cherem", l'anatema, lo sterminio votivo dei nemici di Israele, l'annientamento dei goyim consacrato al Dio giudaico. |
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