Da: Laboratorio Politico <laborpolitico@libero.it>
Oggetto: Fw: Consigli di lettura
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Data: Venerdì 19 novembre 2010, 21:36
Original Message -----
Sent: Thursday, November 18, 2010 11:52 PM
Subject: Consigli di lettura
Ebbene si!
Vi esorto caldamente alla lettura del romanzo di Domenico di Tullio "Nessun dolore", da poco uscito per i tipi di Rizzoli, libro che reca in copertina l'immagine della "mitica" tartaruga di Casa Pound e la didascalia "Una storia di Casa Pound", appunto.
Lo preciso perché, pur trattandosi di un romanzo, questo sottotitolo, più che la storia (o le storie) narrate, danno allo scritto una sorta di ufficialità: insomma, non è un testo "politico" ma è farina del sacco di Casa Iannone e forse, rappresenta meglio Casa Pound di mille "azioni" delle tartarughe, di centinaia di volantini e manifesti e di decine di concerti e canzoni.
Ve lo consiglio vivamente perché lo sforzo letterario dell'avvocato romano finalmente risponde in modo chiaro e inequivoco ad un quesito che m'arrovellava da tempo: ma chi sono 'sti tizi di Casa Pound?
Chi sono "politicamente", intendo dire.
Beh....chi sono non l'ho capito neppure dopo aver letto le 224 pagine del legale romano del gruppo, ma una cosa m'è adesso chiara e manifesta: Casa Pound sta al Fascismo (e al neo-fascismo) più o meno quanto Emilio Fede sta all'informazione giornalistica corretta e veritiera.
Detto in parole ancora più chiare: Casa Pound non ha un accidenti a che vedere col Fascismo, col neo-fascismo, col nostro mondo, con la nostra identità, con la nostra storia recente ed ancora meno con la Storia terminata nel 1945.
Nulla a che vedere, lo ripeto.
Cosa sia con precisione Casa Pound non l'ho capito, ma forse dipende dal fatto che non ho più vent'anni, non sono bello e sorridente, non pratico il muay thai e mi commuovo ancora quando ascolto "Il domani appartiene a noi".
Letterariamente il romanzo vale meno di nulla: è farcito di luoghi comuni, pervaso da un giovanilismo mediatico, invaso da cliché, da modelli umani stereotipati e raffazzonato nella stesura.
Più che un romanzo le pagine di "Nessun dolore" m'appaiono gli appunti di qualcuno che scriva un diario per passare il tempo, ma nel genere intimistico-diaristico la camerata Amalia Liana Cambiasi Negretti Odescalchi, in arte Liala, è rimasta insuperata e gli sforzi del quarantenne avvocato Di Tullio sono del tutto vani e non la spodestano certo dal trono su cui ll'hanno posta gli amanti di quel genere.
Dicevo dei cliché: il "Legionario" m'appare copiato da uno dei tanti ergastolani "buoni" di cui era stipato il penitenziario di Wakefield nel film Brubaker dell'80, insomma, a parte il colore della pelle, 'sto "Legionario" mi ricorda un po' l'affidabile Dickie (Yaphet Kotto) del film di Stuart Rosenberg.
Solo che Yaphet Kotto è un grande attore, mentre il "Legionario" di Di Tullio somiglia ad un assistente sociale con un vocabolario da poeta ed un fisico da pugile fate voi.
Ancora cliché. Ed ancora più gravi in quanto si tratta di stereotipi politici. Nell'opera prima del legale dei Blocchetti i "buoni" sono solo i proletari, i "cattivi" sono solo i ricchi e i borghesi, i "normali", ovvero quelli che lavorano normalmente, hanno una famiglia, ancora normale, si occupano di cose "normali": l'unica eccezione è quella del "pariolo" Flavio che proviene si da una famiglia bene della Roma nord, ma diventa automaticamente "buono" perché si proletarizza unendosi ai Blocchetti di Casa Pound.
Forse l'autore non lo sa ma questo leitmotiv ci ha distrutto le palle per tutti gli anni '70 ed '80 ed anche '90 ed a farsene alfieri, vessilliferi instancabili, erano i compagni di Lotta Continua e Potere Operaio.
Personalmente conosco tanti proletari che meriterebbe il campo di rieducazione e vari "ricchi" e benestanti che stimo ed apprezzo.
E lascio da parte le considerazioni ideologiche sulle classi, sulla distruzione del "Klassenstaat" propugnata da un certo Ministro, non certo per soppiantare il potere della classe borghese con quello d'un'altra ma per la sua sostituzione con "una nuova struttura Socialista della società"…cose vecchie! Fuori moda, ormai.
Ancora cliché. Ed anche più ideologicamente "pesanti". Nelle pagine finali, dove si raccontano gli scontri avvenuti in piazza Navona fra il Blocco Studentesco e i compagni dei centri sociali, Giulia, la ragazza di Giorgio e Flavio, da istintivamente dei "fascisti" ai compagni aggressori, dimostrando di essere totalmente succube dello stravolgimento semantico lessicale degli ultimi sessant'anni che vuole i "fascisti" violenti ed aggressori per antonomasia e rincara la dose accomunando "compagni" e "tartarughe" per i loro "sguardi fieri,…e [la] gioia negli occhi" ed incitando ad una sorta di "santa alleanza" contro il "nemico [che] è un altro". E giustifica tutto questo gridando che "non è vero niente, niente è vero di quello che ci fa scontrare, niente ha senso, niente vale!".
E no, cara Giulia! Il nemico è lo Stato ed i compagni, sono un tutt'uno, le due facce della stessa medaglia. Io non mi sento per nulla attratto da certe commistioni, peraltro già profetizzate ai nostri tempi e miseramente fallite (quindi anche qui il Di Tullio non inventa nulla di nuovo).
Io sono io e i compagni e lo Stato borghese sono altro da me. Ambedue. Ed ha senso, ed ha valore, ed è vero tutto quanto ci fa scontrare con loro.
Altro punto in cui l'autore, e quindi a Casa Pound, marcano con un certo disprezzo la propria alterità rispetto a quelli che li hanno preceduti: a pagina 19 scopro che noi ci "nascondeva[mo] in posti lontani o sotterranei e perciò [ci] chiamavano topi, ratti o altri animali striscianti nel buio", mentre, manco a dirlo, "a quelli del Blocco piace farsi vedere" perché, ça va sans dire, essi sono "giovani e spavaldi, belli e buoni e anche un po' guasconi".
Chi ha vissuto, come me e tante migliaia d'altri, gli anni '70 ed '80, sa che questa affermazione è falsa. Anzi peggio: ricalca, ancora una volta, uno degli stereotipi della sinistra d'allora.
Io, e migliaia d'altri, non ci siamo mai nascosti, le abbiamo prese e date e le nostre sedi erano dove dovevano essere e dove trovavamo qualche pazzo che ce le dava…a Firenze stavamo in Piazza Indipendenza ed alla finestra c'era una fiamma alta un metro…l'ha "nascosta" una dirigenza di falliti arrivisti per motivi di "maquillage" politico…noi no, anche se eravamo (leggere pagina 69) "brutti e torvi per la necessità di nascondersi e stare sempre all'erta".
Ma queste barzellette chi gliele ha raccontate all'insigne patrocinatore di Casa Pound (classe 1969)?
L'esimio difensore dei Blocchetti ha mai sentito parlare dei Campi Hobbit? In particolare del Terzo? Ed io non parlo per sentito dire, per racconti di seconda, terza o quarta mano: ho avuto l'onore di essere responsabile del Servizio d'Ordine del Campo ed ho visto dei giovani e non, belli, decisi, motivati, allegri, felici…ah! Dimenticavo…anche fascisti, quelli si, lo erano davvero. E quei giovani di allora che reggevano in città come Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, dove non c'erano quartieri "neri" come Prati o i Parioli, amavano quella musica e quelle canzoni che il Nostro avvocato (e quindi le "tartarughe") rifuggono come la peste definendole "terribili lagne simil-cantautoriali", "musica da sentimentali perdenti senza coglioni" (a pagina 94).
Beh, a noi "senza coglioni" quella musica piaceva e piace ancora, a noi "perdenti" faceva e fa ancora sognare, noi "sentimentali" la amavamo e la amiamo ancora e per apprezzarla non abbiamo neppure bisogno delle molteplici pinte di birra chiara che paiono essere l'indispensabile accompagnamento delle musiche di Casa Pa'.
E dire che a me gli ZetaZeroAlfa piacciono…e molto…ma continuo ad apprezzare la "musica alternativa", anche se al Nostro "solo a sentirla nominare" viene da "grattarsi i coglioni"…ognuno ha i suoi problemi.
Insomma noi eravamo, a detta del Nostro, una "accozzaglia di piccoli balilla pelati e sovrappeso", non avevamo un "Capitano" che ci guidava –la maiuscola è del Nostro-, non "rompeva[mo] regole e consuetudini" e non "conquistava[mo] spazi e sorrisi"…insomma dei poveri sfigati, che non saltavano sui SUV in sosta, sfondandone il cofano per "protesta" (contro chi?), praticavamo una "violenza" diversa dalla loro –in cosa?, ce lo spieghi il Di Tullio- ed eravamo fascisti reali e non "fascist[i] per estetica" come (sostiene uno dei personaggi del Nostro) era invece Brasillach…
Solo un paio di puntualizzazioni: potrà apparire strano all'autore ma anche noi avevamo un Capitano –la maiuscola è mia-, solo che era stato assassinato nella foresta di Tâncăbeşti il 30 novembre 1938 insieme ad altri 13 Camerati –la maiuscola, per noi Fascisti, è d'obbligo, per ricordarlo-, del nostro Capitano studiavamo la vita e gli scritti e molte cose ci ha insegnato, al punto che, ancora oggi, cerchiamo di uniformarci ai suoi insegnamenti…e questo si chiama rispetto per Chi è venuto prima di noi e ci ha indicato la strada da percorrere, una strada che aveva ben poco a che fare con la violenza che pervade tutto il romanzo, una violenza fine a se stessa, una violenza da ciurma di pirati, una violenza da asociali, una violenza da dissociati, una violenza da alienati: noi picchiavamo –e picchiamo- quando è necessario, noi picchiavamo –e picchiamo- il nemico, senza farne derivare alcun mito, alcuna regola di vita: una cosa necessaria, da fare e basta. E lo facevamo in maniera lucida, disincantata e, cosa che ci differenzia dai Blocchetti, avendo ben chiare alcune regolette di economia militare: se io ho una decina di militanti con me e mi trovo di fronte qualche centinaio di compagni armati di spranghe e di pistole (come ai tempi dei "piccoli balilla pelati e sovrappeso") la mia regola era –ed è ancora- di ritirarmi.
Di martiri ne abbiamo abbastanza, non ne servono altri, nonostante le belle parole di Giulio sulle Termopoli e le Legioni di Cesare in Gallia (pagina 218): la mia regola era –ed è ancora- riportare tutti a casa, vivi.
Ma già, noi eravamo fascisti per convinzione, non per "estetica" come (sostiene l'intellettuale di Casa Pa') Robert Brasillach.
Peccato: ho sempre amato lo schivo Brasillach, ho amato il suo nazionalismo visionario che trasfonde in Domremy, dedicato a Giovanna d'Arco, il suo anticomunismo che trasmette ne I cadetti dell'Alcazar, le sue scelte di vita, la sua fermezza espressa ad esempio ne La Ruota del Tempo, la sua ammirazione per il III Reich (ne sono prova gli editoriali su Je Suis Partout)….peccato, ero certo che anche lui fosse fascista per convinzione, al punto di farsi fucilare…ora che ho scoperto che lo era solo per "estetica", comunque, non smetterò d'amarlo…
Mi fermo qui, perché rischio di diventare noioso.
Però accettate il mio consiglio: leggete quel libro e magari, dopo, spiegate ai ragazzi di 16-20 anni che se proprio vogliono leggere un bel romanzo sulla "ribellione giovanile" scelgano Il Paese delle Meraviglie di Culicchia e se amano i "guerrieri" preferiscano "L'aquila di sangue e di ghiaccio" di Pietroselli, ambedue scrittori non fascisti, ma in cui troveranno molta più sensibilità per ciò in cui noi "balilla pelati" crediamo che nelle pagine del Nostro.
Una cattiveria finale: com'è che un perfetto sconosciuto, al suo primo romanzo, viene pubblicato da Rizzoli, del gruppo RCS Media Group?
(Andatevi a leggere l'elenco dei componenti il CdA…)
In Alto i cuori!
Fabrizio Rinaldini
Via degli Stagnacci 21/3
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tel.: +39 338 6229870
fax : +39 055 3063525
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