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mercoledì 15 febbraio 2012

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Il ruolo dell'ebraismo nella cinematografia statunitense
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Dietro il sogno americano
Il ruolo dell'ebraismo nella cinematografia statunitense
Tratto dal libro: "Dietro il sogno americano", Gianantonio Valli, ed. Barbarossa
Se da una parte tutte le maggiori case di produzione hollywoodiane sono
strettamente in mani ebraiche (ma lo sono anche catapecchie cinematografiche
come la Producers Releasing Company, del ragioniere Leon Fromkess), ebraiche
sono anche le prime banche che finanziano l'industria filmica.
L'unica, parziale eccezione è rappresentata dalla Bank of Italy, fondata nel
1904 a San Francisco da Amedeo Peter Giannini, un immigrato italiano nato nel
1870 a San Josè. Dotato di un talento e di una forza d'animo eccezionali, dopo
il praticantato bancario egli ottiene i primi capitali per la sua impresa dai
fratelli Herman Wolf ed lsaiah Wolf Hellman, due dei più potenti banchieri della
California (il secondo è inoltre il fondatore, nel 1872, della prima sinagoga
del B'nai B'rith di San Francisco).
Fattosi largo a forza in uno establishment ostile, allora dominato dai banchieri
anglosassoni, l'italiano si appoggia agli ebrei, stipulando, attraverso il
produttore Sol Lesser, un'alleanza con i produttori di Hollywood e con i
banchieri di New York interessati allo sviluppo dell'industria cinematografica.
Il propulsore di tale impegno non è però direttamente Amedeo, ma suo fratello
Attilio, detto «Doc» per via di una sua laurea in medicina.
Quando la Bank of Italy rileva la fallita Bowery and East River Bank di New
York, è ancora Sol Lesser a consolidare la banca di Giannini attraverso il
coinvolgimento di Attilio nelle attività finanziarie delle compagnie di
produzione. In tal modo «Doc» diviene la prima fonte di capitale per Marcus
Loew, Lewis Selznick, Florenz Ziegfeld e dozzine di altri impresari ebrei, sia
teatrali che cinematografici: «una collaborazione tra outsiders», la definisce
Neal Gabler.
Fondata nel 1919, la Loews Incorporated vede l'interessamento anche di altri
banchieri. Come abbiamo accennato parlando della MGM, è per questo motivo che
nella direzione della Loew compaiono i «gentili» W.C. Durant, dirigente della
General Motors, e H. Gibson, presidente della Liberty National Bank.
Un altro banchiere perno dello sviluppo dell'industria cinematografica americana
è Otto Hermann Kahn. Nato nel 1867 a Mannheim dal banchiere Bernard Otto, dopo
un periodo di lavoro nella filiale londinese della Deutsche Bank, nel 1893 è
nominato direttore della filiale newyorkese della Speyer & Co. Tre anni più
tardi egli sposa Addie Wolff, figlia di Abraham, socio nella Kuhn Loeb & Co.,
nella quale banca viene assunto l'anno seguente - «verosimilmente per il fatto
che era stata fondata da ebrei come lui», ci informa piamente il Gabler -
divenendone un'autorità.
In tempo rimarchevolmente breve, da impiegato Otto diviene alto dirigente e
socio. Dal 1903 al 1917 è presidente del Consiglio di Amministrazione della
Metropolitan Opera Company. Adolph Zukor, già finanziato da Pierpont Morgan, lo
contatta intorno al 1919 tramite suo fratello Felix Kahn, proprietario di una
delle più estese catene teatrali newyorkesi. Quando la Paramount apre la sua
campagna di acquisti di teatri (nel 1921 possiede od ha costruito ben
trecentotre locali di prima visione), Felix cede la sua catena, venendo
cooptato nella casa e divenendone uno dei massimi dirigenti, oltre che amico
intimo di Zukor. Alla fine degli anni Venti, delle quindicimila sale
cinematografiche sparse sul territorio degli Stati Uniti, la Paramount ne
controlla un terzo.
Cosi si esprime ancora il Gabler: «Zukor aveva una forte affinità con i Kahn. I
due fratelli erano apostati dal giudaismo, senza speranza di assimilazione,
sebbene essi fossero in proposito più decisi che non Zukor. Otto aveva
completamente rigettato il giudaismo e si era fatto episcopaliano. Essi
affettavano uno stile di vita "imperiale", pensando di consolidare in tal modo
il loro status di gentleman. Ed ancora credevano nelle arti come mezzo di
mobilità sociale. In effetti, sembra che Otto Kalm si riferisse a Zukor quando,
pochi anni più tardi notificò ad un gruppo di soggettisti e produttori che
"nell'arte come in ogni cosa il popolo americano ama essere guidato in alto e in
avanti", continuando poi a riferirsi "alla grande importanza ed alla
potenzialità del cinema come industria, influenza sociale ed arte"».
Un gustoso aneddoto sul suo conto merita a questo punto di essere riportato.
Fattosi protestante, Kahn cerca per anni di ignorare e di far ignorare la sua
origine ebraica. Passando un giorno per la Quinta Strada in compagnia
dell'umorista ebreo Marshall Wilder, affetto da una gobba pronunciata, egli
indica al compagno la chiesa della quale è assiduo fedele, dicendogli:
«Marshall, sai che una volta ero ebreo?». «Sì, Otto» - è la risposta di Wilder,
evidentemente memore del fatto che olim haebreus semper haebreus - «e anch'io
una volta ero gobbo».
Come la Kuhn, Loeb & Co. per la Triangle (insieme a Rockefeller) e per Zukor,
cosi altri banchieri ebrei finanziatori dei tycoons hollywoodiani sono S.W.
Straus per Carl Laemmle e Goldman, Sachs & Co. per i fratelli Warner.
Solo Williarn Fox avrebbe «osato» accordi con banchieri «gentili» non legati
alla finanza ebraica, e subito l'A T & T, Halsey, Stuart & Co. ed altri
finanzieri avrebbero cospirato per sottrargli il potere di controllo sulla
filmografia sonora, campo nel quale Fox si trovava allora all'avanguardia e nel
quale essi avevano investito considerevoli mezzi finanziari.
La crisi dell'ottobre 1929 costringe le grandi case a fare ricorso alla Chase
National Bank di Rockefeller, oppure alla Atlas Corporation di Morgan, che
impongono una drastica politica di organizzazione e sottomettono alla fine la
produzione al loro diretto controllo.
«Il 1935» - scrive Sadoul - «è l'anno in cui le conseguenze della crisi
economica e della nuova "guerra dei brevetti sonori" portano ad un rafforzato
controllo dei grandi gruppi finanziari sulla città del cinema. Otto Grandi
regnano ormai su Hollywood; cinque "maggiori": la Paramount, la Warner, la
Loew-MGM, la Fox e la RKO insieme con tre "minori": la Universal, la Columbia e
la United Artists. Le cinque case maggiori totalizzano l'88 per cento del giro
d'affari, sono proprietarie di 4.000 grandi cinematografi-chiave e producono
l'80 per cento delle superproduzioni. Insieme con le tre case minori,
monopolizzano il 95 per cento della distribuzione. Questi Otto Grandi sono
consociati nella Motion Picture Producers of America (MPPA) e a loro volta sono
controllati - il più spesso a due o tre mandate - dal gruppo Rockefeller o dal
gruppo Morgan. Per di più, alcune di esse sono legate a W. Randolph Hearst, a Du
Pont De Nemours, alla General Motors, alla General Electric e a varie grandi
banche. L'alta finanza americana, direttamente proprietaria di Hollywood,
sceglie attraverso i suoi fiduciari i soggetti dei film, che, prima di venir
realizzati da un cineasta, debbono piacere ad una manciata di finanzieri».
I veri padroni degli oligopoli cinematografici rappresentati dalle maggiori case
di produzione sono ancor oggi i grandi finanzieri di Wall Street (anch'essi
nella maggior parte di ascendenza ebraica). I maggiori trust finanziari e
bancari statunitensi, le «Big Three», sono ancor oggi i gruppi Rockefeller,
Morgan, e la Kuhn Loeb & Co.
Come continua Georges Sadoul, l'attività dei monopoli cinematografici di
Hollywood sarà da allora prevalentemente diretta da fini commerciali: «I
dirigenti, che sono praticamente i delegati dell'alta finanza, stabiliscono con
precisione quanto deve rendere ogni film e se il bilancio risulta in deficit
tutti quelli che hanno concorso a crearlo (attori, directors e producers) si
troveranno presto o tardi licenziati. I finanziatori americani padroni di
Hollywood liquidano spietatamente questi executives, che sembrano tanto potenti,
non appena il bilancio delle grandi case da essi dirette si rivela passivo».
Tuttavia, nota sempre Sadoul, in talune circostanze i finanzieri di Wall Street
autorizzano delle spese «disinteressate». Uno degli esempi più chiari si
manifesta nel primo decennio del dopoguerra.
Nel 1948 la Fox è la prima a lanciare un film anticomunista, «La cortina di
ferro», in appoggio alla guerra fredda. Con una contemporaneità significativa,
la manovra propagandistica viene ripresa largamente dalla stampa, dalla
televisione e dalle case editrici. Film senza alcuna qualità artistica, «La
cortina di ferro» provoca subito, sia negli USA che all'estero, vive proteste.
Il suo mancato successo commerciale non impedisce tuttavia ad Hollywood di
continuare a produrre per sei o sette anni numerose pellicole anticomuniste -
con eguale insuccesso.
«Per la Fox, la MGM, la Warner, la RKO, la Paramount questa serie costituì
certamente un deficit di molti milioni di dollari. Ma lo sforzo delle cinque
majors fu disinteressato soltanto in apparenza, poiché queste grandi case erano
in effetti legate anima e corpo agli interessi dei gruppi Morgan e Rockefeller,
alle grandi fabbriche di armi e di forniture militari o di bombe atomiche che
gravitano intorno alle ditte Kodak, Du Pont de Nemours, General Motors, General
Electric, etc.».
I film anticomunisti contribuiscono a creare nell'opinione pubblica il panico
della guerra fredda e pertanto a determinare commesse militari, atomiche o di
altro genere, a tutto vantaggio delle grandi ditte e degli interessi che
controllano anche le maggiori case cinematografiche di Hollywood. Pertanto il
bilancio complessivo è largamente attivo.
I legami che uniscono Hollywood al mondo del big business risultano quanto più
chiari nella pittoresca figura del multimiliardario «gentile» Howard Hughes.
Nato nel 1905 (e deceduto nel 1976), questo figlio di un milionario californiano
si interessa ben presto, come abbiamo visto, al cinema (nel 1932 è tra l'altro
produttore di Scarface). Fin dall'età di venticinque anni finanzia, e talvolta
anche dirige, numerose pellicole nelle quali ha gran parte l'aviazione, attività
tra l'altro a lui cara anche dal punto di vista sportivo. Mentre conquista
alcuni record come aviatore, egli consolida così la fama di talune dive che
godono dei suoi favori.
Nel 1948 il Nostro acquista per parecchi milioni di dollari, dal gruppo
finanziario Rockefeller, la RKO. Per sette anni la società resta apparentemente
in deficit, e nel 1955 Hughes la rivende ad un gruppo di grossi industriali
della gomma.
«Si disse allora» - scrive Sadoul - «che la RKO era stata per lui un capriccio
da miliardario che accoppiava a quella aviatoria la passione per le dive. Ma il
settimanale Time ricorda, il 17 ottobre 195 5, da dove vengono i miliardi di
Hughes. La fonte della notizia ne garantisce la veridicità, dato che questa
pubblicazione americana opera nell'ambito degli interessi Morgan e, assieme alle
rivelazioni, pubblica anche due pagine di pubblicità pagate da Hughes»'.
In breve, secondo la rivista, Flughes è uno dei dieci maggiori proprietari di
industrie belliche americane. Nel bilancio militare degli USA la Howard Hughes
Aircraft Co. (i cui stabilimenti occupano un'area di trenta ettari in California
e in Arizona) incide ogni anno per duecento milioni di dollari sulla fornitura
di missili teleguidati fabbricati da una delle aziende affiliate, la CSTI. Oltre
a queste due società, il Nostro domina anche la Hughes Tool Co. e la TWA, la più
grande compagnia aerea internazionale americana. Queste aziende impiegano
complessivamente cinquantamila persone ed il loro giro d'affari annuo raggiunge
i settecento milioni di dollari (tutti i dati sono ovviamente da riferire al
1955).
La RKO, durante il periodo in cui è di proprietà privata di Hughes, moltiplica
la produzione di film anticomunisti e di film di guerra che si svolgono in Corea
od altrove, e dove l'aviazione ha un posto di primo piano. Citiamo, per tutti,
The Bridges at Toko-ri, «I ponti di Toko-Ri» (1954), del «gentile» Mark Robson,
prodotto da William Perlberg e George Seaton, con gli attori «gentili» William
Holden e Grace Kelly.
Anche se il loro bilancio complessivo è quindi deficitario, la loro propaganda
contribuisce tuttavia a determinare una situazione che viene cosi riassunta da
Time: «Gli Stati Uniti avevano ormai trasmesso tutte le loro commesse di
materiale antiaereo ad un unico gruppo finanziario, affidandosi completamente
nelle mani di Howard Hughes, come egli stesso ebbe a dichiarare».
E' dunque difficile considerare la grande produzione filmica americana
indipendentemente dai grandi gruppi industriali e finanziari che la controllano,
poiché, nell'azione tendente a monopolizzare il cinema mondiale, Hollywood è
collegata, da oltre mezzo secolo, agli altri grandi monopoli statunitensi
(banche, petrolio, industrie aviatorie, automobilistiche, elettriche, chimiche
ed atomiche).

I «grandi» di Hollywood ed i monopoli americani nel 1950. La percentuale (ad
esempio, Paramount 20 per cento) indica quella di ogni compagnia, nel 1939,
rispetto alla cifra d'affari complessiva delle otto majors.
Le principali case bancarie ebraiche statunitensi del XX secolo. Le linee
interrotte indicano i legami matrimoniali; la doppia sottolineatura, i membri
attivi delle varie banche. Strettissima è l'interconnessione tra le maggiori,
con perno sulla Kuhn, Loeb & Co. e sulla J. & W. Seligman & Co.
I «grandi» di Hollywood ed i monopoli americani nel 1950. La percentuale (ad
esempio, Paramount 20 per cento) indica quella di ogni compagnia, nel 1939,
rispetto alla cifra d'affari complessiva delle otto majors.

A pp. 154-5: Le principali case bancarie ebraiche statunitensi del XX secolo. Le
linee interrotte indicano i legami matrimoniali; la doppia sottolineatura, i
membri attivi delle varie banche. Strettissima è l'interconnessione tra le
maggiori, con perno sulla Kuhn, Loeb & Co. e sulla J. & W. Seligman & Co.
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Inviato: Mercoledì 15 Febbraio 2012 11:50
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